Questa è la triste storia di come un piccolo e innocuo sanguinamento delle gengive mi ha portato a cercare una diagnosi – errata- su Google. E tanto, tanto spavento.

Lo spavento iniziale

Spesso anche le nostre abitudini più quotidiane possono essere interrotte da qualche evento spiacevole. Le mattine sembrano assomigliarsi tutte: sveglia, qualche minuto per la colazione, una doccia veloce, lavi i denti, accompagni i figli a scuola e ti fiondi a lavoro. Arrivata la sera, svolgi le stesse piccole mansioni al contrario, quasi fossi una (meno avvenente) versione di Benjamin Button al femminile, fino a quando non ti ritrovi davanti allo specchio con lo spazzolino in mano e lo sguardo perplesso. Sul lavandino solo poche gocce di sangue, quanto bastano per farti tuffare nella disperazione più nera.

Niente panico, ti ripeti in fretta, ma il pensiero che possa trattarsi di qualcosa di grave non ti lascia mai sola il giorno dopo, e quello ancora. Nel frattempo le gocce di sangue si moltiplicano, nella tua testa assumono quasi la drammaticità di quella famosa e terrificante scena di Shining, con l’ascensore che si apre e il fiume rosso che sgorga. Ad un tratto, come una sorta di illuminazione improvvisa, balena in te un’idea geniale: fare una ricerca su Google.

La ricerca disperata di una soluzione

In un attimo scopri di avere la piorrea. Quasi ti senti sollevata, ora finalmente conosci il nome del male che ti affligge, e forse basta continuare a chiedere al fido Google quale sia il rimedio migliore per liberarti da tutte le tue preoccupazioni. Ma il quadro si fa subito più nero del previsto. Leggi infatti che avere la piorrea non è affatto una cosa da poco. In sintesi: domani sarà diverso da ieri, perderai i denti, diventerai vecchia in un attimo, avrai un fiato terribile, nessuno ti amerà più. Nessuno.

Corri ai ripari. Compri su Amazon il dentifricio più caro che c’è, trascorri 15 minuti spazzolando i denti a più non posso, passi il filo, scovolino, sciacqui 16 volte con collutori fortissimi, ti viene un alito da alcolista, i figli ricevono una nota a scuola per il ritardo ripetuto e tu in ufficio un richiamo scritto. Ma non cambia niente, le tue gengive sanguinano ancora.

L’aiuto del dentista

Ti decidi finalmente a fare un cosa sensata: andare dal dentista. Chiami, prendi un appuntamento in un lampo e l’indomani sei già seduta nello studio dello specialista. Il dottore ti osserva e ti rivolge un sorriso che diventa subito contagioso. Non c’è bisogno di curare la piorrea, perché in realtà si tratta di una semplice gengivite causata da un accumulo di tartaro. In più, il dentista mi dà anche una serie di utili spiegazioni e consigli sulla mia igiene orale (altro che Google!):

  • Il tartaro è come il calcare dei bicchieri, è rasposo e irrita le gengive che infatti sanguinano, ma, se preso in tempo, viene facilmente rimosso dall’igienista e tutto torna come prima.
  • No, non è possibile rimuovere il tartaro solo con lo spazzolino perché è duro e aderente; l’igienista adopera una punta che vibra a una frequenza ultrasonica per farlo, poi lucida i denti in modo che la placca faccia molta più fatica ad aderire in futuro.
  • Il formarsi della placca è causato in parte dal cibo, in parte dai batteri; ma per fortuna è possibile rimuoverla con lo spazzolino ed il filo interdentale.

Per quanto riguarda la mia presunta piorrea, il dottore mi spiega che il fumo può aggravare anche di molto la mia gengivite, trasformandola in parodontite e, in casi estremi, anche in piorrea.

Come (non) curare la piorrea con le ricerche su Google

Morale della favola? Per non avere problemi – odontoiatrici e mentali – ai primi sintomi di gengivite è meglio rivolgersi al proprio dentista di fiducia senza giocare al dottore fai da te, non fumare, lavarsi i denti secondo le indicazioni dell’igienista, arrivare in orario a scuola e in ufficio. E in men che non si dica davanti a te si riapriranno giorni carichi di speranza e serenità.